La settimana cruciale inizia il 10 ottobre 1943 quando l’ultimo battaglione nazista abbandona il territorio telesino, nel beneventano in Campania, per dirigersi verso Montecassino mentre la Quinta Armata americana, al comando del generale Clark, dopo lo sbarco di Salerno, procede alla conquista dell’Italia meridionale in attesa di aprire un varco alle truppe alleate per l’assedio di Roma. I tedeschi in rotta tentano in tutti i modi di rallentare l’avanzata americana minando ponti e sbarrando le strade che portano al nord. È quanto accade a San Salvatore Telesino dove i piloni del ponte Cavour – posto in posizione strategica lungo la rotabile che da Telese conduce a Piedimonte Matese – vengono riempiti di esplosivo la sera del 10 ottobre, pronti per saltare in aria subito dopo il transito degli ultimi convogli tedeschi. Con le ombre della notte però, le mine vengono disinnescate e il comando tedesco di stanza a San Salvatore Telesino considera questo episodio un grave attentato partigiano.
Il rastrellamento della popolazione civile
La conseguenza sono tremendi e consistono in un feroce ritorsione con il rastrellamento della popolazione adulta. Vengono deportati tutti i maschi del luogo – dai 15 ai 60 anni – strappati alle loro case e rinchiusi come prigionieri di guerra nell’ex carcere borbonico di Piedimonte Matese. Qui vengono affidati alla custodia di Gaetano Guerriero, un maresciallo dei carabinieri della caserma di Piedimonte Matese, ed utilizzati come manodopera per saccheggiare le fabbriche e trafugarne le merci per conto del comando tedesco.
L’eccidio nella Chiesa di San Francesco a Faicchio
Ma, dopo quattro giorni di prigionia, gli occupanti abbandonano il territorio incalzati dall’avanzata americana. Il maresciallo, approfittando del trambusto, apre le porte del carcere e consente la fuga dei detenuti. È la mattina del 14 di ottobre. Si contano in tutto 128 persone. I prigionieri si dileguano tra i monti del Matese per raggiungere le loro famiglie attraversando gli oscuri sentieri del bosco. Quattro di loro, i più giovani, decidono invece di percorrere a ritroso la strada provinciale, la via più breve per arrivare a casa. Se tutto fosse andato per il verso giusto, già in serata avrebbero abbracciato i loro cari. Ma giunti a Faicchio, nei pressi della chiesetta di San Francesco, si imbattono in una pattuglia tedesca che li scorge e li insegue. I quattro ragazzi, presi dal panico, tentano di fuggire e si nascondono all’interno del luogo sacro. Vengono crivellati dai proiettili di un’arma automatica che li lascia esangui sul selciato, ai piedi dell’altare.
Benedetto Bove (che in famiglia chiamavano Bedò), Rosario De Leva, Francesco Dusmet e Aldo Pezzato: questi i loro nomi. Insieme a loro venne ritrovato il cadavere di un agricoltore del luogo: Ferdinando Meneo. L’eccidio avviene in contrada Odi, a Faicchio, e rimane tuttora impunito. C’è solo una lapide, posta sulla facciata della chiesetta, che ricorda il loro sacrificio.
L’Ultima notte di Bedò
Il libro , L’ultima notte di Bedò, (Vereja Edizioni, 2008) di Emilio Bove. rievoca la storia della deportazione e dell’eccidio. La vicenda è raccontata attraverso l’artifizio letterario del romanzo-storico in cui i fatti sono incorniciati in un’ambientazione fantastica, utilizzata come pretesto per conferire maggior forza narrativa al racconto.
Al libro è accluso un dettagliato dossier con foro originali con la documentazione relativa al massacro rinvenuta negli Archivi Americani del NARA, grazie alla collaborazione di Joseph Agnone.