La costruzione di universi simbolici come sistemi di significati avviene per mezzo di oggettivazioni, quindi essi non possono essere considerati come la somma di isolati processi soggettivi da analizzarsi singolarmente. La concezione del mondo, perciò, e in particolare un aspetto della civiltà antico egizia come quello della concezione del cuore, in ultima analisi è un sistema di significato globale in cui categorie rilevanti di tempo, spazio e casualità vengono rapportate a schemi interpretativi più specifici, nei quali la realtà è divisa in segmenti e questi sono collegati fra loro.
Sommario
Il cuore va visto sotto aspetti tipici della civiltà sviluppatasi nella Valle del Nilo
Il cosmo sacro e la visione di alcuni suoi aspetti, come quello legato al cuore stesso, in una realtà dove esiste una dimensione profana si manifesta in essa ma, in un ambito di religiosità, combacia perfettamente con la vita di tutti i giorni e con ogni atteggiamento. Pertanto l’idea del cuore va vista secondo categorie profane ma soprattutto sacre come ogni fenomeno nato nella Valle del Nilo. Ma come e cosa pensava un egiziano di tremila o quattromila anni fa?
L’antico Egitto osserva da millenni, attraverso gli occhi della Sfinge con il suo sguardo indifferente, l’Occidente, che cerca, fin dall’antichità, di carpirne i più remoti arcani. Il viso impassibile del monumento più famoso del mondo, che già aveva stregato saggi dell’antichità come Pitagora e Platone, continua ad ammaliare, e che cosa sia davvero stato l’Egitto faraonico, il pensiero che ha sviluppato, come pensava un antico egiziano sono domande alle quali dovrebbe tentare di rispondere ogni egittologo pur se assai difficile è trovare una risposta.
Noi egittologi non siamo in grado di captare i risultati della nostra speculazione intellettuale in equazioni differenziali. Possiamo soltanto avvicinarci rispettosamente alla verità e rassegnarci ad essere sempre rispediti lontano, perché le nuove scoperte, i fatti nuovi e le nuove problematiche costringono incessantemente a rivedere e correggere ciò che si presume di sapere in modo più o meno sicuro. [Adolf Erman, La religione dell’Egitto, Berlino 1905]
Le rappresentazioni parietali, ad esempio, oggetto di studio di storici dell’arte ed egittologi, rappresentano e sono importanti perché, forse, per un antico egizio, immagini di un mondo dell’aldilà; non valutabili quindi solamente secondo criteri artistici scaturiti dall’estetica e dal gusto dell’Occidente. Così anche il cuore va visto sotto aspetti tipici della civiltà sviluppatasi nella Valle del Nilo e se l’Egitto è il paese dell’immagine, la terra della quale Ermete Trismegisto dice rivolto al suo discepolo:
Forse non sai, Asclepio, che l’Egitto è l’immagine, qui, nel profondo, di tutto l’ordinamento celeste
allora occorre tentare di comprendere appieno nell’insieme quell’immagine nel suo aspetto più interiore e non ciò che essa proietta ed ha proiettato. Per porsi di fronte ad un pensiero come quello religioso antico egiziano, e cercare di capire che cosa fosse per loro il cuore, occorre, perciò tentare, nei limiti del possibile, di liberare la nostra mente dalle categorie filosofiche alle quali siamo abituati ed accettare una logica di pensiero o, come è stata definita, una mentalità pre-logica, diversa dalla nostra. [H.Frankfort, J.A.Wilson, La filosofia prima dei greci, Torino 1963]
Oggi, ad esempio, il famoso “principio di indeterminazione” di Heisenberg e le sue applicazioni alla meccanica quantistica per arrivare agli studi sul bosone e alle teorie dell’infinitesimamente piccolo e grande, mettono in discussione proprio l’assunto aristotelico che la causa precede l’effetto, cioè la base del nostro pensiero.
Nulla però è immobile nell’antico Egitto; anzi, due verbi khpr e wnn (l’essere che non muta) esprimono in nuce quel concetto che è stato poi sistematizzato da Aristotele, il concetto, cioè, di potenzialità, il divenire perenne di qualcosa da qualcos’altro di iniziale. Lo scarabeo egizio, Khepri, termine che deriva da khpr, appunto, cioè l’essere in quanto divenire, aveva una funzione particolare e delicata: spingere l’astro diurno nel suo corso. Per questo sui corpi imbalsamati all’altezza del cuore era posto uno scarabeo con su scritto nella parte piatta il capitolo 30a del Libro dei morti. In questo modo il cuore e quindi il defunto continua a divenire e vivere.
La gran parte del pensiero egizio era convinto che la morte fosse una sorta di sospensione del flusso dell’esistenza per cui era possibile garantirsi l’immortalità con l’imbalsamazione del corpo e con un corretto espletarsi di appositi rituali. Anche se il corpo, per un qualsiasi motivo, fosse andato distrutto, però, la statua all’interno del sepolcro che rappresentava il defunto e alla quale era stata data la vita attraverso la cerimonia della “Apertura della bocca” avrebbe potuto sostituire il corpo stesso. La tomba conteneva quindi la forma fisica immutabile del defunto ed era un luogo dove poteva risiedere il suo ba il concetto spirituale reso impropriamente con anima. Esso è la manifestazione animata del defunto, quindi la sua capacità e possibilità di muoversi e assumere qualsiasi forma il defunto desiderasse. Altra parte che componeva la vita e della quale il cuore stesso faceva parte era l’akh .[A.Bongioanni, M.Tosi, La spiritualità dell’antico Egitto. I concetti di Akh, Ba e Ka, Rimini 1997].
Esso può anche intervenire per qualcun altro come si rileva nella lettera al morto di un vedovo che, sospettando che all’origine della sua sofferenza sia una persona morta non identificata, scrive alla moglie defunta
Ti ho amata sulla terra pertanto lotta per me e intercedi a favore del mio nome. Elimina l’infermità dal mio corpo, divieni un akh per me, davanti ai miei occhi, in modo che io possa vederti lottare per me. Io deporrò cibo per te non appena il sole sorgerà e rifornirò la tua tavola di offerte
La possibilità di traslare in una diversa condizione dopo la morte è legata anche ad un’altra parte che compone la vita: il cuore stesso chiamato jb o khatj. Se quest’ultimo può essere assimilato più con il cuore fisico, il primo indica quest’organo nel suo significato morale, e può definire idee astratte, i moti dell’anima, la tristezza, l’inquietudine, la gioia.
La pesatura del cuore o della psicostasia nel capitolo 125 del libro dei morti
Il cuore non era estratto dal corpo all’atto dell’imbalsamazione e sul torace, alla sua altezza, come si è detto, era posto uno scarabeo con scritto, nella parte piatta, il capitolo 30a del Libro dei morti. Il capitolo 125, conosciuto anche come della Psicostasia, presenta il defunto di fronte al tribunale di Osiri e in tale giudizio il cuore (jb) viene posto su uno dei piatti della bilancia per la pesatura, mentre sull’altro piatto vi è una piuma simbolo di maat. Il defunto recita la cosiddetta “confessione negativa” così chiamata perché, non esistendo il concetto di peccato, egli dovrà negare il positivo (non ho fatto questo, non ho fatto quello) e spesso si legge
ero un uomo vissuto nella maat
cioè l’ordine, la verità, la giustizia. In questo caso il cuore sembra assumere la funzione di coscienza e può anche opporsi al suo possessore diventandogli ostile; la sua testimonianza, pertanto, può diventare pericolosa. La formula di cui si è accennato scritta non a caso sullo scarabeo posto sul cuore deve impedire che esso possa testimoniare contro il defunto nell’aldilà.
O cuore di mia madre, o mio cuore, cuore della mia esistenza terrena, non proferire testimonianza contro di me davanti al Signore delle offerte. Non dire di me – egli si è comportato male – non permettere che si ponga contro di me innanzi al Signore dell’Occidente. Salute a te, mio cuore, salute a voi potenti dei. Annunciatemi a Ra quando raggiunge il confine occidentale del cielo. Io sarò così durevole sulla terra, non morirò nell’Occidente e solo allora sarò un akh .[Traduzione in E.Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Torino 1969
C’è un’abbondante letteratura che attesta l’esistenza di una medicina dell’epoca faraonica
Davanti a Osiri, quindi, il cuore non interviene come fosse una coscienza ma solo come testimone, essendo, oltretutto, sede della memoria stessa. Val la pena di ricordare che, uno studio di alcuni ricercatori, ha messo in luce che il cuore pare “pensi” cioè abbia una vera e propria memoria, per cui di fronte al ripetersi di un fatto che lo ha visto protagonista si pone in una condizione diversa rispetto alla precedente. Per gli egizi, inoltre, era anche sede della conoscenza e nella Teologia menfita il demiurgo, Ptah, aveva immaginato il mondo nel suo cuore e poi lo aveva creato pronunciando i nome degli esseri e delle cose. Il pensiero, quindi, si trasforma in parole e, per la prima volta nella storia dell’uomo, essendo tale teologia databile all’Antico Regno, il mondo viene creato non più attraverso qualcosa di tangibile, lo sperma, la saliva, ma grazie al potere dell’immaginazione.
Altro aspetto legato al cuore è quello medico. Abbiamo un’abbondante letteratura che attesta l’esistenza di una medicina dell’epoca faraonica; nei testi sono menzionati oculisti, dentisti, ortopedici, altri specialisti e le aride sabbie del deserto hanno conservato e restituito un buon numero di trattati su papiri. Talvolta essi ci danno una dissertazione di anatomia o di fisiologia come il “Trattato sul cuore” trasmesso dal papiro Ebers
Primo segreto del medico conoscenza del cuore e suo funzionamento. Ci sono in esso i vasi che vanno ad ogni membro. Su qualunque parte del corpo un medico metta le dita, sulla testa, sulla nuca, le mani, le braccia, le gambe, egli sente qualcosa del cuore perché i vasi vanno da questo ad ogni membro. Ecco perché parla nei vasi di ogni membro.
I medici egiziani fanno del cuore il punto d’incontro di una quantità di vasi che trasportano tutto ciò che è liquido, non solo il sangue, ma anche le lacrime, le urine, lo sperma. Come dice ancora il testo di Teologia menfita, l’azione delle braccia, l’andatura delle gambe, il movimento di ogni altro membro è voluto da un ordine concepito dal cuore. Tutti i sensi funzionano per lui, la vista, l’udito, la respirazione dell’aria attraverso il naso. L’usura di quest’organo essenziale determina la senilità. Descrivendo la propria vecchiaia, Sinuhe osserva
i miei occhi sono pesanti, le braccia senza vigore, le gambe rifiutano di servirmi, il mio cuore è stanco.
Il cuore è il centro della vita fisica e affettiva, della volontà, del pensiero, dell’intelligenza.
Oltre all’aspetto più propriamente morale e mitopoietico, il cuore è dunque il centro della vita fisica e affettiva, della volontà, del pensiero, dell’intelligenza. Tutti i sentimenti, gli stati d’animo, i tratti del carattere si esprimono nella lingua egizia con locuzioni che fanno riferimento al cuore, ad esempio essere allegri si dice “lunghi di cuore”.
In quest’ambito vale la pena di considerare ancora la dimensione sentimentale espressa, ad esempio, da testi che vengono definiti poetici, i quali, pur se non sappiamo se si possa parlare di poesia per l’antico Egitto, esprimono certamente una forte carica emozionale.
Recita uno di questi, databile al 1200 a. C. circa, nel quale una donna descrive il suo desiderio di vedere l’uomo amato
C’è nel mio cuore una speranza
ammirarlo seduta a casa sua.
Mehi che apre il corteo degli innamorati.
Ma come avvicinarlo,
perché il mio cuore brucia se mi avvicino a lui?
E ancora un altro testo
mi consiglia il mio cuore se a lui penso.
Ma non farmi soffrire cuore mio
tu che, non so perché porti follia
non scioglierti, mio cuore, in frenesia.
E, infine
il cuore si ubriaca
nell’avvicinarsi a te
come il pensare, senza berlo, ad un vino.
Bibliografia essenziale
S.Curto, L’Egitto antico. Società e costume, Torino 1981
M.Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Vol. I, Firenze , 1975
E.Hornung, Gli dei dell’antico Egitto, Roma 1992
A.Luvino, Il dono del Nilo, Torino 1997
S.Sauneron, La naissance du monde, Paris 1959
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