Scommettere tutto sul digitale può essere molto rischioso per la stampa. Lo scrive Michael Wolff su Usa Today.
“Il costo di questa scelta”, spiega Wolff, “è ora chiaro a tutti: la carta ha perso circa 120 milioni di dollari nel 2015″.
A differenza di “tutte le grandi testate, come il Financial Times, il Wall Street Journal, il Times e il New York Times”, il Guardian non ha voluto “introdurre il paywall per limitare l’emorragia della carta stampata”, spiega Wolff. Ma ha proseguito sulla strada dell’offerta di contenuti al 100% gratuiti.
Nemmeno il Guardian ha scelto, come hanno fatto Huffington Post e Business Insider, “di farsi acquistare da gruppi dotati di ingenti risorse, passando a questi il problema della soluzione della crisi”. Anzi, il Guardian “ha assunto 500 nuovi dipendenti” per far crescere il suo modello di business.
La scelta compiuta dal Guardian, aggiunge Wolff, è stata di quella di compiere “una migrazione dalla carta al digitale”, “abbandonando il business della carta stampata per competere sul campo dell’informazione digitale con realtà come BuzzFeed, Vox e Vice Media”, ciascuno dei quali, tuttavia, “riceve lauti finanziamenti da diversi investitori che ne foraggiano la crescita”.
Il problema è che, prosegue Wolff, “i costi per garantire un’adeguata crescita del digitale sono lievitati, mentre è calata la raccolta pubblicitaria online”. Che tradotto significa: “entrate zero”, “la fine di un ciclo”. Tanto che, secondo Wolff, ora il Guardian dovrà pensare a “contenere le spese piuttosto che a crescere”.