Il premio è diviso in 21 categorie e ai vincitori viene consegnata una ricompensa di diecimila dollari. Al vincitore della categoria “giornalismo per il bene pubblico” al posto dei soldi viene assegnata una medaglia d’oro. Oltre ai premi per il giornalismo la giuria assegna sette premi per le arti, la musica e la letteratura.
La giuria del Pulitzer è composta da 19 personalità del mondo dell’informazione, ma tra loro ci sono anche docenti universitari e scrittori.
Il processo di selezione dei migliori lavori giornalistici comincia a febbraio, quando la giuria, riunita alla Columbia University, seleziona tre finalisti per ogni categoria. Il presidente della giuria ha annunciato i vincitori nella storica sala della World room alla Columbia university.
Washington Post e Guardian Usa (la versione americana del quotidiano inglese) hanno vinto il premio Pulitzer nella categoria “servizio pubblico”. Le due testate sono state premiate per aver portato a galla le rivelazioni della talpa Edward Snowden scatenando il Datagate, lo scandalo sul programma di controllo e intercettazioni messo in atto dalla National Security Agency americana.
Washington Post e Guardian sono stati premiati rispettivamente “per aver aiutato il pubblico a capire come queste rivelazioni si inseriscono nel contesto più ampio della sicurezza nazionale” e “per aver acceso un dibattito sul rapporto tra il governo e la cittadinanza su questioni di sicurezza e privacy”.
Al Guardian l’inchiesta è stata condotta da Glenn Greenwald, Ewen MacAskill e alla film maker Laura Poitras che ha collaborato anche con Barton Gellman, il giornalista che ha guidato il lavoro sul Datagate per il quotidiano di Dc. Il premio ricorda quello conferito nel 1972 al New York Times per la pubblicazione dei Pentagon Papers, i documenti in cui si descriveva il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Vietnam: anche in quel caso si trattò di una fuga di notizie.
Tra gli altri premiati i giornalisti di Reuters Jason Szep e Andrew Marshall, che si sono aggiudicati il Pulitzer per il modo in cui si sono occupati delle persecuzioni della minoranza musulmana in Birmania.
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