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Nessun risarcimento al pendolare perché il treno in ritardo o affollato. La sentenza della Corte di Cassazione

Cassazione: niente risarcimento al pendolare perché il treno sempre affollato e in ritardo è «tollerabile». Respinto il ricorso dell’utente: anche se disagi e ritardi dei treni sono veri bisogna provare l’effetto, chi fa parte del consorzio sociale deve avere un grado minimo di sopportazione per dovere di convivenza.

Stop alla possibilità di avere un piccolo indennizzo per i disagi patiti per i pendolari dei treni. Lo ha stabilito la Cassazione che con la sentenza 3720/19, depositata oggi dalla terza sezione civile che ha rigettato il ricorso di un lavoratore pendolare che impugna la sentenza di merito. Nello specifico solo se a essere violato è un diritto inviolabile tutelato dalla Costituzione può scattare il risarcimento del danno non patrimoniale: non può essere risarcito, pertanto, il pendolare che lamenti il disagio patito a causa del pessimo servizio offerto dalla società di trasporti.

Il ricorrente esponeva una serie di disagi patiti a causa dei ritardi sistematici dei treni sovraffollati e in pessime condizioni igieniche e fonte di esasperazione e di peggioramento della qualità della vita. Il tribunale riteneva che il lavoratore non aveva provato e neppure allegato il presupposto della gravità dell’offesa necessario per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale. Alla stessa conclusione arriva il collegio di legittimità: la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale è data, «oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona».

Dunque, ci sono diritti «palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altro tipo di insoddisfazione concernenti gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale e che ogni persona, inserita nel complesso sociale, deve accettare, in virtù del dovere di convivenza, un grado minimo di tolleranza».

Nel caso in esame, «il giudice di appello ha ritenuto non dimostrato che il pregiudizio esistenziale avesse superato quella soglia di sufficiente gravità e compromissione dei diritti lesi, quale limite imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale». Ora con un’ulteriore inversione di rotta la Suprema corte, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” ha sancito che lo stress può essere reale, ma bisogna provare l’effetto dei disservizi sul piano personale. Insomma si deve tener presente che serve “un grado minimo di tolleranza”.

Nel caso affrontato, in primo grado il giudice di pace di Piacenza, nel 2008, aveva dato ragione al pendolare condannando Trenitalia a risarcirlo con mille euro. La sentenza è stata ribaltata poi dal giudice d’appello che ha annullato il risarcimento.

Redazione

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