Non fu crimine di guerra, a un tragico errore per il quale è stato deciso un procedimento disciplinare contro 16 soldati, i raid americani contro l’ospedale di Msf a Kunduz, in Afghanistan, che provocò 42 morti lo scorso 3 ottobre. Lo stabilisce il risultato dell’inchiesta del Pentagono.
“Il briefing di oggi equivale all’ammissione di un’operazione militare non controllata in un’area urbana densamente popolata, durante la quale le forze statunitensi hanno disatteso le regole di base della guerra. Non si comprende perché, nelle circostanze descritte dagli Stati Uniti, l’attacco non sia stato annullato”.
Lo ha detto Meinie Nicolai, presidente di Medici Senza Frontiere (Msf), in una prima reazione alle conclusioni dell’inchiesta americana.
MSF “prenderà il tempo necessario per esaminare il rapporto statunitense e stabilire se risponde alle molte domande che restano ancora senza risposta sette mesi dopo l’attacco”, si legge in un comunicato dell’organizzazione. Pur riconoscendo gli sforzi dell’esercito americano nel condurre un’indagine, Msf sottolinea la sua richiesta di una indagine “indipendente e imparziale della Commissione d’Inchiesta Umanitaria Internazionale”.
”Il discrimine che può rendere questo incidente mortale una grave violazione del diritto internazionale umanitario non è la sua intenzionalità”, sottolinea Meinie Nicolai, che chiede a tutte le parti in conflitto in Afghanistan “una chiara riaffermazione dello status di protezione dell’azione medica nel paese”. Senza questa garanzia, si legge, non si potrà riavviare l’attività nell’ospedale di Kunduz. Infine il comunicato di Msf si sofferma sulla mancanza di proporzionalità fra le sanzioni amministrative a carico dei 16 soldati e la distruzione di una struttura medica protetta che ha causato 42 morti.
“La mancanza di una significativa assunzione di responsabilità – silegge – lancia un segnale preoccupante alle parti in conflitto e verosimilmente non sarà un deterrente contro future violazioni delle regole della guerra. Allo stesso tempo, è ormai chiaro che le vittime e le loro famiglie non hanno né la possibilità di fare un’azione legale contro l’esercito degli Stati Uniti, in Afghanistan o negli Stati Uniti stessi, né quella di chiedere una compensazione per la perdita dei propri cari e del loro sostentamento”.
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