Termina dopo 1.017 giorni il governo di Matteo Renzi. Arrivato a Palazzo Chigi sull’onda della vittoria nelle primarie Pd, lascia travolto da una vittoria “straordinariamente netta” del No al referendum confermativo sulla riforma costituzionale cui aveva legato il suo destino politico.
Va via “senza rimorsi”, il premier, convinto di aver “fatto tutto quello che era possibile fare in questa fase”. E sintetizza in una battuta: “Volevo tagliare le poltrone, non ce l’ho fatta, la poltrona che salta è la mia”. Perché, rivendica anche nel momento più difficile della sua carriera politica, e assumendosi la piena responsabilità della sconfitta, “io non sono come gli altri: nella politica italiana non perde mai nessuno, io sono diverso, ho perso e lo dico a voce alta anche se con il nodo in gola”.
E allora domani pomeriggio, è il timing illustrato dallo stesso Renzi e preannunciato a Sergio Mattarella in una telefonata prima di mostrarsi alla stampa, sarà convocato l’ultimo Cdm del Renzi I, e poi al Colle, per rassegnare le dimissioni nelle mani delPresidente della Repubblica. Cui spetteranno poi le decisioni successive, sapendo che “l’Italia può contare sulla sui guida sicura e salda”. Nel frattempo che la “crisi al buio” – come la definì in ipotesi qualche giorno fa – trovi una soluzione, il
governo “sarà al lavoro per completare l’iter di una buona legge di Stabilità e assicurare massimo impegno ai territori colpiti dal terremoto”.
Ma di sicuro, “come è evidente e scontato, l’esperienza del mio governo finisce qui”. E senza mostrare rammarico per la scelta del referendum, anzi: “Sono fiero e orgoglioso dell’opportunità che il Parlamento, su suggerimento del governo, ha dato agli italiani”. E nel giorno della sconfitta, Renzi non rinuncia al suo ottimismo: “Si è persa una battaglia”, dice rivolto agli elettori e ai militanti del Sì, ma “arriverà un giorno in cui tornerete a festeggiare una vittoria”. Certo, “c’è rabbia, delusione, amarezza, tristezza, ma dovete essere fieri: fare politica contro qualcuno è facile, fare politica per qualcosa è più difficile ma più bello”.
E questa frase preannuncia la sfida che Renzi lancia al fronte del No, a quella che aveva definito “accozzaglia”: “Ai leader del No le mie congratulazioni e gli auguri di buon lavoro, nell’interesse dell’Italia e degli italiani”. Perché la vittoria al referendum “consegna ai leader del No oneri e onori, a cominciare dalla proposta di legge elettorale: tocca a chi ha vinto avanzare proposte serie e credibili”.
L’uscita di scena dalla sala dei Galeoni di palazzo Chigi è abbracciato alla moglie Agnese, che ringrazia “per la fatica di questi mille giorni”. E “grazie ai miei figli e anche a tutti voi”, ha detto rivolto ai giornalisti. “Sono stati mille giorni che sono volati, per me è il momento di rimettermi in cammino”, ha concluso. E quali saranno i passi successivi, è ancora tutto da vedere. La direzione del Pd si riunirà martedì, per valutare le “iniziative politiche” conseguenti alla sconfitta. Intanto, dalla segreteria Pd smentiscono nettamente la possibilità che Renzi possa dimettersi dalla carica di largo del Nazareno:
“Assolutamente no”. Ma con una dimensione della sconfitta così netta, bisognerà capire anche quale sarà la tenuta dei gruppi parlamentari Pd, e anche – sulla base della legge elettorale che si profilerà all’orizzonte – se puntare o meno al voto a marzo, con un governo di scopo per il quale continuano a circolare i nomi di Grasso e Padoan.
Intanto Renzi rilancia la sfida al fronte del No, “l’onere di proposte credibili”. Assistendo alle divisioni che già emergono, con i Cinque Stelle che chiedono elezioni subito con l’Italicum, insieme a Lega, Fdi e un pezzo di Fi, con Berlusconi che nei giorni scorsi aveva invece più volte invocato un tavolo per la legge elettorale, con la sinistra per il No che chiede anch’essa di riscrivere la legge elettorale.