In Libia petrolio conteso tra Tripoli e Bengasi. La petroliera battente bandiera indiana Distya Ameya “contesa” e’ entrata nel porto di Zawya per scaricare il petrolio prelevato prelevato “illegalmente” dalla Cirenaica. La nave ha dovuto cambiare rotta nei giorni scorsi, con il suo carico di 650 mila barili di petrolio, dopo il fallito tentativo di attraccare al porto della Valletta, a Malta. La compagnia petrolifera National Oil Company (Noc), che fa capo al governo di unita’ nazionale di Tripoli, ha accusato il gruppo Dsa Consultancy Fzc, armatore della petroliera Distya Ameya, di aver acquistato illegalmente il petrolio dalle autorita’ non riconosciute di Bengasi e di Tobruk. Su richiesta dall’ambasciatore libico Ibrahim Dabbash, giovedi’ scorso le Nazioni Unite hanno inserito la nave battente bandiera indiana, precedentemente nota come Kassos, nella lista delle imbarcazioni soggette a sanzioni internazionali.
Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, da parte sua, ha detto in Parlamento che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2278 del 31 marzo riconosce “come illeciti i movimenti di armi e di petrolio che non passino attraverso il governo di accordo nazionale”. L’Italia, ha aggiunto il titolare della Farnesina, si e’ mossa affinche’ “questo tipo di movimenti, che si tratti di traffici di petrolio o di violazione dell’embargo sulle armi, generino una reazione da parte della comunita’ internazionale”.
Il gruppo Dsa Consultancy Fzc, registrato negli Emirati Arabi Uniti, principali finanziatori del potente generale Khalifa Haftar, ha riferito di aver firmato un regolare contratto con la Noc della Libia orientale il 13 ottobre 2015 e che il beneficiario ultimo era la Banca centrale libica. Sia la Noc con sede a Bengasi, sia la commissione Energia del parlamento di Tobruk hanno assicurato la legalita’ della transazione e la legittimita’ della loro autonomia nella vendita di greggio libico a livello internazionale.
Il premier del governo transitorio libico con sede a Bengasi, Abdullah al Thani, ha detto che le esportazioni di petrolio “sono legittime e legali” e continueranno anche in futuro. Parlando nel corso di una conferenza stampa da Bengasi, trasmessa dall’emittente televisiva “al Libya”, al Thani ha spiegato che l’esecutivo della Cirenaica “non guadagnera’ nemmeno un centesimo dalla vendita del greggio”.
Non e’ dello stesso avviso il rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Libia, Martin Kobler, secondo cui la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 2278 “condanna i tentativi di esportare illecitamente il petrolio dalla Libia, incluse le istituzioni parallele che non agiscono sotto l’autorita’ del governo di accordo nazionale”.
Anche un portavoce del dipartimento di Stato Usa e’ intervenuto sulla vicenda dellla Libia e del petrolio conteso, invitando gli altri paesi ad “astenersi dall’attivare questa attivita’ illegale”. L’ambasciatore libico presso l’Onu, Ali al Dabbash, era stato il primo a denunciare nei giorni scorsi che “il governo di riconciliazione nazionale subisce la vendita illegale di greggio libico” attraverso “una petroliera proveniente dagli Emirati Arabi Uniti”. Da parte sua, l’ente petrolifero libico Noc ha riferito il caso al Consiglio di presidenza guidato dal premier Fayez al Sarraj.
Dietro la vicenda della petroliera si nasconde l’ennesimo “braccio di ferro” tra il governo “parallelo” della Cirenaica e il Consiglio presidenziale del governo di unita’ nazionale sostenuto dall’Onu. Il generale Haftar, capo di Stato maggiore dell’Esercito libico nella Cirenaica, punta a ottenere l’indipendenza finanziaria vendendo autonomamente il petrolio estratto dai campi sotto il suo controllo.