Il califfo Abu Bakr al Baghdadi, leader del gruppo dello Stato islamico, ha lanciato un appello ai suoi combattenti affinché “mantengano” il controllo di Mosul,
roccaforte dell’Isis nel Nord dell’Iraq.
Nel suo primo messaggio del 2016, diffuso da al Furqan, media vicino ai jihadisti, una voce presentata come quella di al Baghdadi ha chiesto ai
combattenti – che a Mosul sarebbero fra 3.000 e 5.000 – di “non ripiegare” di fronte all’avanzata dei militari curdi e iracheni.
“Tenere le posizioni con onore è mille volte più facile che ritirarsi con vergogna”, ha sostenuto il capo dell’Isis, le cui condizioni di salute sono oggetto di speculazioni. Secondo l’intelligence curda, al Baghdadi si troverebbe ancora in città e la sua morte significherebbe la fine dello Stato Islamico (Isis),
proclamato proprio dalla moschea principale del capoluogo iracheno nell’estate del 2014.
Il messaggio è stato intitolato “Ciò che Dio e il suo Messaggero ci hanno promesso”: secondo gli esperti del movimento jihadista, la voce registrata sarebbe proprio del califfo. Al Baghdadi
incita i suoi sostenitori a compiere attacchi in Arabia saudita e in Turchia, un paese – quest’ultimo – che ha dispiegato le sue truppe in una base vicino Mosul e che vuole giocare un ruolo
nell’offensiva contro la città irachena.
Sul piano interno, invece, tentando di inasprire le tensioni settarie, al Baghdadi ha accusato i responsabili politici iracheni sunniti di “tradimento”.
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