Venerdì 8 maggio è stato presentato la prima edizione del Premio di Giornalismo “Giustizia e verità – Franco Giustolisi
Autorità, relatori, gentili ospiti,
poco più di un anno fa, come abbiamo visto nel bel video di Vittorio Nevano, in questa stessa sala, dopo un mio breve intervento sul tema del convegno dal titolo “70 anni dalle stragi nazifasciste”, prendeva la parola Franco Giustolisi. La grinta con cui intervenne, la forza della sua denuncia, la costanza della sua battaglia, la tenacia nel cercare di mantenere viva la memoria di quanto avvenne nel periodo più tragico della nostra storia, non ci poteva far immaginare che sarebbe stata la sua ultima uscita pubblica.Prima di entrare qui, in quei minuti in cui i relatori si incontrano nella stanza a fianco, mi disse che era la prima volta che finalmente, a 70 anni di distanza, si teneva un incontro nazionale, per di più in una sede istituzionale, sull’armadio della vergogna e sui processi per le stragi. Non posso però dimenticare soprattutto la frase con cui esordì il suo intervento ufficiale: “da oggi entriamo nel futuro”.
Che bella frase detta da un uomo di 88 anni!Franco Giustolisi era un giornalista vero, scomodo, che ha dedicato la sua vita a scoprire il lato oscuro del potere e della società attraverso le sue inchieste, iniziando su Paese Sera, poi a L’Ora di Palermo, un giornale eretico che tra le sue firme ha visto ben tre giornalisti uccisi dalla mafia: Cosimo Cristina, che ho ricordato ai ragazzi a Rosarno pochi giorni fa, Mauro de Mauro e Giovanni Spampinanto. Andò poi al Giorno, da li alla Rai, dove fu impegnato nei primi approfondimenti televisivi con inchieste dure di informazione e di denuncia, poi all’Espresso, dove ha lavorato per più di 30 anni.
Avremo modo, grazie a tre grandi giornalisti – Roberto Martinelli, che con lui ha lavorato al Giorno, il presidente Sergio Zavoli, col quale collaborò in Rai, e Bruno Manfellotto dell’Espresso – di ricordare quegli anni e di ascoltare da loro il ritratto professionale e umano di Franco. Un ringraziamento particolare va a Virginia Piccolillo del Corriere della sera che modera il nostro incontro: con lei Franco ha combattuto le ultime battaglie e a lei ha affidato quella finale: far luce sui crimini compiute all’estero dai militari fascisti.
Parlare del lavoro di Giustolisi significa inevitabilmente ripercorrere le pagine più drammatiche della storia del nostro Paese, le vicende criminali del banditismo sardo e dei sequestri in Calabria, lo scandalo del Banco Ambrosiano, la vita e la morte di Calvi, il Caso Mattei, le inchieste di mafia e quelle sul terrorismo, su cui avremo il piacere di sentire il ricordo di Giancarlo Caselli, la P2, le interviste esclusive a Licio Gelli, le carceri – tema su cui ha scritto moltissimo, dallo scandalo delle carceri d’oro alla durezza dell’Asinara e di Pianosa fino al libro “Al di là di quelle mura” con Pier Vittorio Buffa, che era con noi anche l’anno scorso e fra poco ci presenterà il premio.
Negli ultimi anni il suo lavoro si concentrò su quello che, con sintesi mirabile, definì “l’armadio della vergogna”: il ritrovamento, dopo quasi 50 anni di silenzio e di rimozione, di 695 fascicoli d’inchiesta occultati presso l’Archivio della Procura generale militare di Roma. Da tale ritrovamento e dalla sua campagna stampa ebbe inizio una serie di processi che arrivò a sentenze definitive di condanna all’ergastolo. Un risultato importante sotto certi aspetti, paradossale per altri.
Da un lato infatti è tornato all’attenzione pubblica il disprezzo per la vita, la barbarie e la crudeltà dei massacri perpetrari dai tedeschi in ritirata negli ultimi mesi di guerra, dall’altro invece urla alla coscienza civica del nostro Paese la beffa di sapere i condannati liberi. In un suo noto articolo Giustolisi conclude con queste amare parole: “Non sono fuggiaschi, non sono evasi, non sono latitanti. Sono tranquilli e liberi: la Germania li protegge, l’Italia fa finta di niente”.
Franco non ha smesso fino all’ultimo giorno di chiedere giustizia per tutte le 15.000 vittime di quelle stragi, di denunciare l’indifferenza delle istituzioni, di raccontare quelle storie affinché tutti ne venissero a conoscenza.
Lasciatemi dire che vedere qui oggi – in questa occasione di lancio del premio a lui dedicato e di ricordo della sua vita – così tanti sopravvissuti a quelle stragi, mi commuove.Voglio davvero salutare e ringraziare di cuore voi che siete venuti da Sant’Anna di Stazzema insieme al vostro sindaco, da Borgo Ticino, dal Mulinaccio di Arezzo, Marcella de Negri – figlia del capitano Francesco, ucciso a Cefalonia. La vostra presenza qui per ricordare Franco, 70 anni dopo quei fatti, ci da la misura esatta di quanto il rapporto con lui fosse profondo.
Col suo lavoro ha ridato voce a voi che per anni avete raccontato le vostre storie drammatiche senza incontrare l’attenzione dovuta, avete ripercorso quelle ore terribili senza alcun conforto, e avete vissuto una vita in compagnia dell’assenza dei vostri cari. Ha continuato senza sosta a indagare sull’occultamento di quei fascicoli e a premere sull’opione pubblica affinché lo Stato si facesse carico di azioni coraggiose nei confronti dei condannati. Il procuratore militare Marco de Paolis ci dirà cosa è cambiato nell’anno trascorso dal nostro convegno.
Come era nello spirito di Franco, per il quale, come abbiamo ricordato, un anno fa “cominciava il futuro”, la giornata di oggi non è rivolta solo al passato. La presentazione del premio “Giustizia e verità – Franco Giustolisi” per il giornalismo d’inchiesta è una buona notizia perché guarda in avanti, perché mira a raccogliere i frutti di quei semi lasciati da Franco: il coraggio, la passione, la determinazione, lo scrupolo della verifica, il non piegarsi anche quando si sa di pagare un prezzo o correre un rischio, il non avere timore né dei padroni né dei padrini.
In Italia i giornalisti veri corrono dei rischi quotidianamente: ci sono regioni in cui chi cerca di descrivere la realtà senza veli rischia la vita, in cui si combatte una battaglia quotidiana tra il dovere dell’informazione e la pretesa del silenzio, in cui si arriva a minacce, intimidazioni, querele temerarie. Martedì scorso a Rosarno ne ho premiati due, ieri in tv ho sentito il racconto di Sandro Ruotolo sulle minacce ricevute dal boss Zagaria, e da qui gli rinnovo la mia e la nostra vicinanza.
Il lavoro del giornalista, quando non è asservito al potere o al potente di turno, è un lavoro prezioso per la democrazia, per l’opinione pubblica, per i cittadini. Parafrasando Longanesi potremmo dire che non è la libertà di stampa che manca, pur con i problemi che sappiamo: mancano i giornalisti liberi. Ma quelli che ci sono, e non sono pochi, illuminano una professione fondamentale se vogliamo nutrire ancora la speranza di migliorare il nostro Paese.
Cara Livia, tuo padre era uno di questi, un combattente, e noi tutti siamo qui per ricordarlo. Grazie.
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