Sognavano di raggiungere l‘Europa, invece durante la traversata del deserto libico sono state rapite
dai jihadisti dello Stato islamico (Isis) e tenute come schiave del sesso nella città di Sirte, dove hanno subito per mesi abusi e violenze. Sono donne eritree, filippine, siriane e irachene, alcune minorenni, altre incinte, che però da mesi sono detenute dalle forze del governo di unità nazionale di Fayez al Sarraj e
interrogate per fornire informazioni sui jihadisti.
“Sono stata venduta a diversi uomini – ha raccontato al sito Middle East Eye la 25enne Yemane, rapita nel deserto e portata a Sirte – ci usavano come regali: la mia vita valeva meno di un mazzo di fiori”. La 16enne Wered vomita ogni mattina: “Questo bambino è figlio del diavolo. Non lo voglio. Voglio solo dimenticare. Voglio dimenticare di essere stata stuprata, di essere stata venduta come un oggetto. Voglio dimenticare di essere stata trattata come spazzatura”. Wered ha chiesto di abortire, ma l’interruzione di gravidanza è illegale in Libia, anche in caso di stupro e incesto. Yemane e Wered sono due delle molte donne e dei tanti bambini detenuti ormai da mesi dalle forze del governo di Sarraj in una prigione situata all’interno dell’Accademia dell’Aviazione a sud di Misurata.
Proprio oggi i combattenti fedeli a Sarraj hanno annunciato la liberazione di Sirte, al termine di un’offensiva iniziata lo scorso maggio. “Dopo il mese di maggio le cose sono cambiate – ha raccontato Yemane – abbiamo cominciato a sentire i rumori dei combattimenti. Non potevamo uscire, ma sentivamo le bombe e i colpi di arma da fuoco. Ero terrorizzata. E’ un miracolo che siamo ancora vive”.
Quando le forze libiche hanno finalmente conquistato la zona della città libica dove erano detenute, molte donne si sono consegnate ai combattenti del governo: “Volevamo che capissero che eravano civili. Volevamo capissero che avevamo bisogno di essere aiutate e salvate, che non avevamo armi”.
Portate a Misurata, mesi dopo sono ancora in prigione: “Devono rimanere qui fino a quando non avremo finito gli interrogatori”, ha detto un funzionario.
“Non ho fatto nulla. Sono scappata dalla fame e dalla dittatura in Eritrea e ora sono qui, chiusa in una cella in Libia – ha detto Tecle, da due mesi in prigione – io sono cristiana e l’Isis mi ha costretto a convertirmi. Mi hanno detto che i cristiani sono diavoli, che per me non ci sarà un paradiso, solo le fiamme dell’inferno. Avevo paura di morire annegata nel Mediterraneo, ma non avrei mai immaginato di finire nelle mani dell’Isis”.
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