Si riaccende drammaticamente la tensione nella contestata regione del Nagorno Karabakh, un
delicato quadrante geopolitico dove gravitano Russia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Turchia e Iran.
L’esercito azero ha annunciato la morte di tre militari nel corso degli scontri con le forze armene che si susseguono da tre giorni. Secondo il ministero della Difesa di Baku, i soldati sono stati uccisi da tiri di mortaio e lanciarazzi provenienti dalle posizioni delle forze armene. “Se le provocazioni proseguiranno –
ha dichiarato minacciosamente il portavoce del ministero – lanceremo una massiccia operazione lungo la linea del fronte utilizzando tutte le nostre armi”.
Nei giorni scorsi violenti scontri hanno causato la morte di 30 militari, 18 armeni e 12 azeri, e nonostante la tregua e le pressioni internazionali la crisi non si arresta. Gli scontri rappresentano le ostilità più gravi dalla tregua del 1993 che mise fine alla guerra in cui combattenti sostenuti dall’Armenia occuparono i territori che adesso sono parte di una controversa enclave in territorio azero.
Negli anni ’20 il territorio era stato assegnato da Stalin all’Azerbaigian poi, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la questione del Nagorno Karabakh riemerse drammaticamente a causa dell’azerificazione forzata della regione operata da Baku. La locale popolazione armena, con il supporto dell’Armenia stessa, si mobilitò per riunire la regione alla madrepatria. Nel settembre 1991 il soviet locale dichiarò la nascita della nuova Repubblica del Nagorno Karabakh, autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaigian dopo che questo aveva deciso di uscire dall’Unione Sovietica. Nel gennaio del 1992 la reazione militare azera accese un feroce conflitto che provocò 30mila vittime e si concluse con un accordo di cessate il fuoco nel 1993.