Un saggio sugli anni dal 1945 alla caduta del Muro. Tra i due litiganti, chi ci ha rimesso è il Terzo mondo.
La guerra fredda non è più tra noi; o almeno così dovrebbe essere a giudicare dal tempo che ci separa dal 1989. A ben guardare, molti interrogativi di allora ci appartengono, si muovono in uno spazio sospeso, tra la fine del vecchio equilibrio e le incertezze di un mondo instabile e frammentato. Si è scritto molto sull’ordine bipolare, sul confronto tra Est e Ovest e sulla dialettica Washington-Mosca. In molti sostengono che il confronto sulla guerra fredda è ormai paragonabile al dibattito sulla rivoluzione francese, o a quello sulla guerra civile americana, con un’ampiezza e una continuità di studi che può sostenere il confronto con le analisi sulla Germania nazista o sulla seconda rivoluzione industriale. Un interesse che giunge da più parti, investe saperi e conoscenze interrogandosi sui lasciti di una lunga stagione e soprattutto sulle eredità di una fase che non sembra chiudersi con lo scorcio finale del ’900.
Il pregio del volume di John L. Harper La guerra fredda. Storia di un mondo in biblico (Mulino, pp. 383, € 30) è quello di raccogliere la sfida di un racconto che abbraccia alcuni decenni: dalla conclusione del secondo conflitto mondiale al crollo dell’impero sovietico. Un viaggio di quasi mezzo secolo su una direttrice che alterna eventi e questioni rilevanti, richiami a situazioni specifiche con interpretazioni di quadro più ampio.
«Semplificando all’estremo, la guerra fredda fu un confronto per la supremazia tra gli Stati Uniti d’America, che si consideravano la guida di un mondo libero di democrazie capitaliste e liberali (anche se molti dei Paesi che si allinearono con Washington erano ben lontani dalla democrazia), e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche che rivendicava la guida del campo socialista o comunista (anche se alcuni dei suoi seguaci rientravano solo nominalmente in tale definizione)».
Uno scontro tra schieramenti di Paesi tenuti insieme da componenti ideologiche, economiche, persino valoriali. Ma dietro il binomio amico/nemico, al di là dell’immagine di fissità prevalente si muovono interessi e aspirazioni divergenti. Innanzitutto un ordine complessivo del sistema che accomuna e tutela i diversi contendenti; una linea di demarcazione che non viene mai superata anche nel vivo delle fratture più profonde: gli avversari si sfidano e si riconoscono legittimandosi reciprocamente, consolidando così posizioni e privilegi. Un ordine asimmetrico, profondamente ingiusto, indagato nelle sue ragioni iniziali, nelle cause che originano l’impianto del dopoguerra e nel suo tornante conclusivo quando vengono meno gli assi portanti della struttura. Harper va a fondo attraversando in poche pagine interrogativi fondamentali e tentando di semplificare uno scenario articolato: «La guerra fredda cominciò nel 1945, si inasprì nel 1946, fu ufficiosamente dichiarata nel 1947 e si cristallizzò in un sistema nel biennio 1948-1949».
Fondamentale uscire dalle strettoie dei vincoli nazionali e dai percorsi battuti dai protagonisti principali: «Dopotutto, se in Europa – per secoli teatro di carneficine – gli anni dal 1945 al 1989 hanno visto una sorta di “lunga pace”, milioni di esseri umani hanno perso la vita in guerre e insurrezioni in Africa, nel Medio Oriente e in Asia». I conflitti caldi della guerra fredda non sono un accessorio irrilevante funzionale alle esigenze superiori di un sistema equilibrato, ma rappresentano segnali di allarme, termometro di trasformazioni possibili. Lo spazio come obiettivo imprescindibile: i confini più antichi di una sovranità da esercitare vengono associati e sovrapposti ai nuovi scenari strategici. La Germania, lo scacchiere mediorientale e le sue vie di accesso e transito, il Nord-Est e il Sud-Est asiatici diventano teatri di una competizione globale, senza esclusione di colpi, in grado di promuovere energie, mobilitare risorse, spingere verso alleanze e terreni inediti. Dietro l’immagine della dialettica bipolare s’intravedono nuovi centri di potere destinati a un lungo cammino talvolta trasformando i punti di debolezza in occasioni di forza. Il tramonto di quel mondo, dopo una prima fase di trionfalismo occidentale, «spinge in modo irreversibile verso il multipolarismo politico», mentre «fra i suoi benefici lo studio della guerra fredda offre un antidoto alle illusioni di onnipotenza».
(Umberto Gentiloni, LA STAMPA, 10 gennaio 2014)