Intervista di Beppe Severgnini a Kinsey Wilson, responsabile della strategia digitale del «New York Times» ne Il Corriere della Sera, in cui Wilson spiega la strategia digitale del NYT e come il giornale riesce a conquistare un milione di lettori. Proponiamo uno stralcio dell’intervista ed il link all’articolo originale
di Beppe Severgnini
Paywall. Letteralmente: il muro del pagamento. Un nome inutilmente cupo per una proposta chiara: «Entrate, venite. Abbiamo qualcosa per voi!». Qualcosa che ha un’utilità e, inevitabilmente, un costo. Il giornalismo di qualità, infatti, è prodotto da professionisti di qualità. Redattori, inviati, cronisti, commentatori, titolisti, grafici, fotografi e tecnici non riescono a lavorare gratuitamente. Le aziende editoriali non possono continuare a regalare il prodotto del proprio lavoro. Non avrebbero futuro.
Sembra banale, ma la sfida del nuovissimo giornalismo è tutta qui. Convincervi che quanto leggete/vedete/ascoltate ha un valore. Che è giusto, oltre che inevitabile, chiedervi un contributo.
La gratuità dei media non esiste. Esiste un prezzo dichiarato (l’acquisto di una copia, di un accesso, di un abbonamento); un prezzo implicito (la pubblicità); e un prezzo nascosto, che spesso la nostra pigrizia non vuol vedere. L’ho già scritto, lo ripeto: se affamiamo i protagonisti dell’informazione fino a farli scomparire, ci ritroveremo notizie sui governi prodotte dai governi, informazioni sui prodotti diffuse dalle aziende, e così via. Baratteremo la nostra intimità e i nostri dati privati con qualche accesso. Non sarà un bel mondo: fidatevi.
Le grandi testate, ormai, ne sono convinte. Mentre il numero delle copie di carta scende, e le nuove generazioni pretendono uno schermo, i migliori quotidiani del mondo propongono nuovi prodotti e offrono nuovi sistemi di pagamento. Il paywall è questo, non altro. Un certo numero di articoli gratuiti; poi un abbonamento valido per smartphone, tablet, pc.
Cosa cercano i lettori? Cosa li porta ad abbonarsi?
«In una parola, qualità. Il «Times» è una venerabile istituzione con oltre 150 anni di storia, il cui stesso nome è diventato sinonimo di eccellenza editoriale. Ancora più importante è il fatto che la redazione del “Times”— stiamo parlando di circa 1300 persone — non è mai stata così grande. E il numero di reporter che mettiamo sul campo ogni giorno non è cambiato dal 2000. Questa è una circostanza che nessun’altra news organization generalista può vantare. Ed è una delle ragioni fondamentali per cui siamo stati in grado di costruire un robusto business di abbonamenti digitali mentre tanti altri hanno faticato»
Leggi l’articolo originale sul sito web del Corriere della Sera